Quando si è innamorati si comincia sempre ingannando sé stessi e si finisce sempre ingannando gli altri. È quello che il mondo chiama sentimentalismo.
— Oscar Wilde
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La nostra interpretazione
L’innamoramento viene presentato come un processo intrinsecamente ambiguo, in cui la percezione di sé e dell’altro è filtrata da un velo di autoinganno. All’inizio si costruisce un’immagine idealizzata dei propri sentimenti e della persona amata, si attribuiscono intenzioni, qualità e profondità che forse non esistono o non sono così solide. Questo meccanismo nasce dal desiderio di dare un senso elevato alle proprie emozioni, di nobilitarle, di trasformarle in qualcosa di eccezionale. Tuttavia, con il passare del tempo, questa idealizzazione si estende all’esterno: non ci si inganna più soltanto interiormente, ma si arriva a proporre agli altri la stessa versione romanzata, trasformando le emozioni in racconto, posa, facciata.
Ciò che viene celebrato come sensibilità o dolcezza diventa così una forma di rappresentazione, quasi un teatro dei sentimenti. Viene smascherata la tendenza umana a confondere intensità emotiva e verità, a scambiare il trasporto affettivo con autenticità morale. L’amore, invece di essere un incontro lucido e consapevole, si trasforma in una narrazione che ci rende complici delle nostre stesse illusioni. In questo intreccio di finzione e desiderio si manifesta il lato fragile e talvolta ipocrita del romanticismo, dove ciò che appare profondo può rivelarsi semplicemente una costruzione elaborata per non affrontare la realtà dei propri sentimenti e dei propri limiti.