Avidamente allargo la mia mano: dammi dolore cibo cotidiano.— Salvatore Quasimodo
Avidamente allargo la mia mano: dammi dolore cibo cotidiano.
Se mi desti t'ascolto, e ogni pausa è cielo in cui mi perdo, serenità d'alberi a chiaro della notte.
Mi trovi deserto, Signore, nel tuo giorno, serrato ad ogni luce. Di te privo spauro, perduta strada d'amore, e non m'è grazia nemmeno trepido cantarmi che fa secche mie voglie.
Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue e l'oro. Vi riconosco, miei simili, o mostri della terra. Al vostro morso è caduta la pietà, e la croce gentile ci ha lasciati.
Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.
Il cuore domanda o che i suoi piaceri siano accresciuti o che i suoi dolori siano compianti, domanda di agitarsi e di agitare perché sente che il moto è nella vita e la tranquillità nella morte.
Non dura ininterrottamente il dolore della carne; il suo culmine dura anzi un tempo brevissimo; e ciò che di esso appena oltrepassa il piacere non si protrae molti giorni nella nostra carne. Le lunghe malattie poi arrecano alla carne più piacere che dolore.
Il dolore non è altro che la sorpresa di non conoscerci.
Il suo dolore era stato maggiore del mio. Quel dolore delinea il confine che ci separa. La sua morte mi ha insegnato a guardarmi dentro e a mantenermi distante. Quel dono di consapevolezza mi ha salvato la vita.
La conoscenza porta dolore.
Può dire di non essere mai andato a scuola chi non fu alla scuola del dolore.
Dalla mia più tenera età una freccia di dolore si è piantata nel mio cuore. Finché vi rimane - sono ironico - se la si strappa, muoio.
Il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio. Il dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l'aria.
Solo il dolore insegna cos'è la vita senza il dolore.
Non sentire alcun dolore è equiparabile alla fine dei sentimenti; ciascuna delle nostre gioie è un patto con il diavolo.
Lieve è il dolore che permette di prendere una decisione.