Chi non si ritiene molto felice, anche se è padrone del mondo, è un poveretto.
Siamo giunti a tanto meschine insulsaggini che ci tormenta non solo il dolore, ma il pensiero del dolore, come accade solitamente ai bambini, i quali sono spaventati dall'ombra.
La natura ci produsse fratelli, generandoci dagli stessi elementi e destinati agli stessi fini. Essa pose in noi un sentimento di reciproco amore con cui ci ha fatto socievoli.
La memoria rinnova l'angoscia della paura, il prevedere il futuro ce l'anticipa; nessuno è infelice solo per il presente.
Della miseria sua causa è l'avaro.
Immagina di abbracciare l'immensità del tempo e l'universo, e poi paragona all'infinito quella che chiamiamo vita umana: vedrei come è poca cosa questa vita che desideriamo e cerchiamo di prolungare.
Siamo felici perché sorridiamo e non viceversa.
La felicità non dipende dagli avvenimenti esterni, ma dalla maniera in cui li consideriamo: un uomo abituato a sopportare il dolore, non può non essere felice.
Coloro che non furono mai sventurati, non sono degni della loro felicità.
La felicità, come un vino pregiato, deve essere assaporata sorso a sorso.
Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. E' per questo che l'uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione.
Com'è amaro guardare la felicità attraverso gli occhi di un altro!
Nessuno può essere costretto dalla violenza o dalle leggi ad essere felice; per conseguire tale stato sono invece necessari un'amorevole e fraterna esortazione, una buona educazione e soprattutto un personale e libero giudizio.
In ogni avversità della fortuna, la più tremenda delle sventure è l'essere stato felice.
Si può essere felici anche mangiando un cibo molto semplice, bevendo acqua pura e avendo come cuscino unicamente il proprio braccio ripiegato.
È credenza comune pensare che la felicità dipenda dal tempo libero.