La suprema felicità della vita è la constatazione d'essere amato, e amato per se stesso; anzi diciamo meglio, malgrado se stesso: questa convinzione, il cieco l'ha.
— Victor Hugo
1
La nostra interpretazione
Il cuore del pensiero ruota attorno all’esperienza di sentirsi amati in modo incondizionato. La felicità più alta non nasce dal successo, dalla bellezza o dalla perfezione, ma dalla consapevolezza che qualcuno ci sceglie e ci vuole bene al di là dei nostri limiti, dei difetti, delle fragilità. Non si tratta di essere apprezzati per le qualità migliori o per l’immagine ideale che offriamo al mondo, ma di essere accolti nella nostra interezza, inclusa quella parte di noi che vorremmo nascondere. L’amore, in questo senso, diventa un atto di riconoscimento profondo, che abbraccia anche ciò che è imperfetto, contraddittorio, persino scomodo.
Il riferimento alla persona cieca richiama il fatto che, pur priva della vista, possiede una certezza interiore incrollabile: sentirsi amata non per ciò che appare, ma per ciò che è. L’assenza dello sguardo esteriore riduce il peso dell’immagine e rende ancora più chiara la distinzione tra apparenza e sostanza. Qui la felicità assume una dimensione intima, quasi segreta: non dipende dal giudizio degli altri, ma da una convinzione profonda che scalda l’anima. L’essere amato “malgrado se stessi” diventa allora la forma più alta di accettazione, quella che libera dalla paura di non essere abbastanza e permette di vivere con maggiore pienezza, sapendo di avere un posto sicuro nel cuore di qualcuno.