Gli uomini muoiono sempre e i vermi li distruggono, ma non si distrugge l'amore.
— William Shakespeare
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La nostra interpretazione
Ogni esistenza umana è sottoposta al limite del tempo, alla decadenza del corpo, alla fragilità della materia. La morte cancella i volti, le abitudini, i gesti quotidiani; il corpo, che è stato strumento di presenza nel mondo, viene distrutto e restituito alla terra. Eppure, in mezzo a questo ciclo inesorabile di nascita e fine, qualcosa sfugge alla corruzione: il legame che unisce profondamente gli esseri umani. I sentimenti autentici, vissuti con intensità e sincerità, hanno una natura diversa dalla carne e dal sangue; non appartengono interamente al mondo fisico e per questo non si consumano nello stesso modo.
L’amore diventa così una forma di sopravvivenza. Non evita la morte, ma la attraversa, lasciando tracce che continuano ad agire nella memoria, nei gesti, nelle scelte di chi resta. Il ricordo di chi abbiamo amato trasforma il dolore in presenza interiore, come se una parte di quella relazione rimanesse viva oltre l’assenza. In questo senso, l’amore sfida il potere distruttivo del tempo: ciò che è accaduto tra due persone, se è stato autentico, non può essere annullato nemmeno dalla dissoluzione dei corpi. L’idea che qualcosa di così fragile e immateriale possa rivelarsi più resistente della materia stessa diventa una forma di consolazione e di speranza, perché suggerisce che la dimensione più alta dell’esperienza umana non è destinata a scomparire insieme al corpo, ma a estendersi oltre il confine della vita mortale.
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