L'io è odioso.
Bisogna ubbidire ai superiori, non perché sono giusti, ma perché sono superiori.
Quando troviamo uno stile naturale restiamo sorpresi e incantati, perché dove ci aspettavamo di trovare uno scrittore scopriamo un uomo.
Avere compassione degli atei che cercano, non sono infatti abbastanza infelici? Ingiuriare quelli che se ne vantano.
Ciò che fa grande la grandezza umana è che si riconosce miserabile; un albero non si riconosce miserabile. Riconoscersi miserabili significa dunque essere miserabili, ma riconoscersi miserabili significa essere grandi.
L'impegno a pensare bene è il principio della morale.
Vorrei poter dimenticare che io son io.
L'Io si arricchisce nel confronto con le diversità, ma senza venire cancellato o assorbito. Il dialogo, che unisce gli interlocutori, presuppone la loro distinzione e una piccola, ma insopprimibile e feconda distanza.
L'unico viaggio irrinunciabile è l'esplorazione dell'io.
Spesso si dice che questa o quella persona non ha ancora trovato se stesso. Ma l'io non è qualcosa che si scopre: è qualcosa che si crea.
In fondo, l'unica ragione perché si pensa sempre al proprio io, è che col nostro io dobbiamo stare più continuamente che con chiunque altro.
L'Io non è cosa o fatto, è soprattutto azione.
Come il cavaliere, se non vuole essere disarcionato dal suo cavallo, è costretto spesso a ubbidirgli e a portarlo dove vuole, così anche l'Io ha l'abitudine di trasformare in azione la volontà dell'Es come se si trattasse della volontà propria.
Depreco egualmente il trionfalismo di Kant e in genere di quelle filosofie che, trovando necessario partire dall'io, inneggiano ad esso come se fosse una grande conquista e non invece la miserabile sorte che ci è toccata.
Quel che il pubblico ti rimprovera, coltivalo, è il tuo io.
Io: un paesaggio che m'è venuto a noia.