Le relazioni umane vengono qui strappate alle categorie morali rigide: non c’è più chi tradisce e chi viene tradito, chi è buono e chi è cattivo. Viene negata la visione moralistica che divide le persone in innocenti e colpevoli, come se ogni storia potesse essere raccontata solo attraverso il filtro del giudizio. Al suo posto emerge una prospettiva più cruda e al tempo stesso più realistica: ciò che conta è la durata concreta dei legami e delle strutture che li ospitano. L’unica misura diventa il tempo in cui qualcosa esiste e resiste. Il sentimento non è eterno, non è garantito né protetto da una legge superiore: è presente finché vive, finché regge alle pressioni, alle fragilità individuali, agli urti della vita. Allo stesso modo la città è una metafora del contesto, del mondo che sostiene gli affetti: appare solida, ma porta già in sé la possibilità del crollo. L’esistenza è così vista come un equilibrio temporaneo, fatto di costruzioni provvisorie che prima o poi si sgretolano. Più che indagare colpe e meriti, diventa essenziale riconoscere la precarietà delle cose e imparare a stare dentro ciò che esiste finché c’è, accettando che niente è definitivo, né i sentimenti né i luoghi che li ospitano.