Ci siano o no gli dèi, di essi siamo servi.
Il Vangelo raccomanda amore per il prossimo: non dice amore per l'uomo o per l'umanità, di cui di fatto nessuno può curarsi.
Gli dèi sono l'incarnazione di quello che non potremo mai essere.
Fare un'opera e, dopo averla fatta, riconoscere che è brutta, è una delle tragedie dell'anima. Soprattutto è grande quando si riconosce che quell'opera è la migliore che si potesse fare.
Alcuni hanno un grande sogno nella vita e mancano a quel sogno. Altri nella vita non hanno nessun sogno, e mancano anche a quello.
Chi volesse fare un catalogo di mostri, non dovrebbe far altro che fotografare con le parole quelle cose che la notte reca alle anime sonnolente che non riescono a dormire. Tali cose possiedono tutta l'incoerenza del sogno senza la scusa inconsapevole di stare a dormire.
L'evento su le ginocchia degli dèi s'asside.
Dagli dèi, dobbiamo imparare perlomeno una virtù: la discrezione. Essi si comportano in ogni caso come se non esistessero.
Che si siano sempre pregati gli dèi è umano, ma ciò non depone, a dire il vero, in favore della nostra eleganza. Meno che mai della loro.
Gli Etiopi dicono che i loro dèi sono camusi e neri, i Traci che hanno occhi azzurri e capelli rossi.
È una cosa stolta supplicare gli dei per ottenere ciò che uno è in condizione di procurarsi da se stesso.
Preferirei sentir parlare di un barbone americano vivo piuttosto che di un dio greco morto.
Gli dei muoiono, ma dalle loro ceneri altri dei nascono.
Gli uomini creano gli dèi a propria immagine, non solo riguardo alla loro forma, ma anche al loro modo di vivere.
Non sono da temere gli dèi; non è cosa di cui si debba stare in sospetto la morte; il bene è facile a procurarsi; facile a tollerarsi il male.