Il giornalista deve avere sempre e comunque una religione del dubbio.
Non deve prevalere un asettico e arido cinismo del giornalismo che non crede più in nulla. Il giornalismo deve essere in qualche modo portatore di valori. Ogni testata, ogni giornale ha una sua storia.
Il giornalismo è anche dominato dagli eventi. È dominato giustamente dalle notizie. Spesso si ritorna a parlare di una situazione, di un Paese, di un'emergenza, grazie o in conseguenza di una notizia, di un episodio.
L'amicizia è fatta di lealtà, non di passiva fedeltà.
I giornalisti seguono e descrivono gli eventi. Naturalmente è sbagliato quando magari cercano di crearli in laboratorio, perché poi questi influenzino i processi. Non è compito del giornalista. Il compito del giornalista è quello di raccontare la realtà, fornire un servizio ai propri lettori.
Come vorrei, certi giorni, che davvero i giornali raccontassero soltanto balle.
Ogni giornale, dalla prima all'ultima riga, non è che un tessuto di orrori. Non capisco come una mano pura possa toccare un giornale senza una convulsione di disgusto.
In Italia il giornalista non si sente espressione dell'opinione pubblica ma portavoce della sua fazione. Attacca in nome della confraternita di cui fa parte ma non dirà mai una parola contro la sua confraternita.
Il giornale è un libro diminuito, come il libro è un giornale ampliato.
Il giornalismo non è un mestiere che consenta un tempo libero autonomo rispetto alla professione. Richiede una vocazione. Se quella vocazione non c'è, è inutile provarci.
Con la libertà di stampa i giornali pubblicano solo ciò che vogliono veder stampato le grandi industrie o le banche, le quali pagano il giornale.
Una sola frase basterà a descrivere l'uomo moderno: egli fornicava e leggeva i giornali.
I giornali stimolano sempre la curiosità: nessuno ne posa uno senza un sentimento di delusione.
I giornalisti si scusano sempre con noi in privato per quello che hanno scritto contro di noi in pubblico.