L'amore non si dona se non abbandonandosi, trasgredendo continuamente i limiti del proprio dono, sino a trapiantarsi fuori di sé.

Jean-Luc Marion
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La nostra interpretazione

L’amore viene presentato come un movimento di uscita da sé, un processo in cui la persona smette di proteggere il proprio centro per offrirsi interamente all’altro. Non si tratta di un gesto misurato o calcolato, ma di un continuo oltrepassare i confini della propria generosità, come se ogni limite raggiunto rivelasse la necessità di donarsi ancora di più. L’io non rimane al sicuro nel perimetro dei propri bisogni e del proprio controllo: accetta di esporsi, di perdere una parte di sé, di radicarsi fuori dal proprio territorio interiore per mettere al centro la presenza dell’altro. Questo tipo di amore implica rischio, vulnerabilità, rinuncia al possesso. Donarsi non è un atto isolato, ma una dinamica incessante in cui la persona si lascia trasformare dal legame. L’identità non viene annullata, ma spostata: ciò che conta non è più l’autoconservazione, bensì la fedeltà a un dono che non ha garanzie. L’amore diventa così un esercizio di decentramento: si vive nel paradosso di ritrovarsi davvero solo nel momento in cui ci si è lasciati trapiantare fuori da sé, là dove la propria vita prende forma nel volto, nella storia e nel bene dell’altro.

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