Se non ci fosse, a questo mondo, l'infelicità, ci potremmo credere in paradiso.
Finché un essere umano non è stato conquistato da Dio, non può avere fede, ma solo una semplice credenza.
L'algebra e il denaro sono essenzialmente livellatori; la prima intellettualmente, l'altro effettivamente.
L'Europa non ha forse altri modi d'evitare di essere decomposta dall'influenza americana che attraverso un contatto nuovo, vero, profondo, con l'Oriente.
La storia non è altro che una compilazione delle deposizioni fatte dagli assassini circa le loro vittime e sé stessi.
L'ateo può essere semplicemente uno la cui fede e il cui amore sono concentrati sugli aspetti impersonali di Dio.
Se infelice è l'innamorato che invoca baci di cui non sa il sapore, mille volte più infelice è chi questo sapore gustò appena e poi gli fu negato.
Il mezzo più sicuro per non essere molto infelici è la rinuncia a pretendere di essere molto felici.
I momenti dell'infelicità sono momenti chiave della vita, gli unici momenti in cui si impara davvero qualcosa.
Quelli che sono infelici non hanno bisogno di niente a questo mondo, eccetto di persone capaci di concedere loro la propria attenzione.
L'uomo coltiva la propria infelicità per avere il gusto di combatterla a piccole dosi.
Veramente infelice è chi non sa sopportare l'infelicità.
Non v'è infelicità umana la quale non possa crescere. Bensì trovasi un termine a quello medesimo che si chiama felicità.
Nessuno può vantarsi o sdegnarsi con verità dicendo: io non posso essere più infelice di quel che sono.
Meglio essere infelici sui cuscini di una Rolls Royce che sulle panchette di un tram.
La via più sicura per evitare una grande infelicità è di ridurre possibilmente le proprie pretese in rapporto ai propri mezzi di qualunque specie.