La nostra morte individuale, solitaria e dimenticata nel frastuono delle cose ci incute sgomento in cuore.— Claudio Magris
La nostra morte individuale, solitaria e dimenticata nel frastuono delle cose ci incute sgomento in cuore.
Tutti si pentono quando non serve più.
Il mistero è anzitutto l'al di qua, la giornata terrestre con le attese, i ricordi, gli amori, le piccole pene e le piccole gioie, intrise di fragile argilla e di eternità.
Solo la forza consente di chiedere autenticamente perdono.
Amare significa amare l'altro, rispettarlo, volere il suo bene e volere, anche quando ciò può essere doloroso, che sia se stesso.
Capire la storia significa mettersi dal punto di vista di chi ha vissuto gli venti mentre questi accadevano.
Il bene che si dirà di noi dopo la nostra morte ci consolerà del male che si sarebbe detto della nostra vita se fosse durata troppo a lungo.
La pallida morte batte ugualmente al tugurio del povero come al castello dei re.
Come uomini siamo uguali davanti alla morte.
Chi teme la morte è già morto.
Ci sono persone a cui la morte dona un'esistenza.
La nostra vita scaturisce dalla morte degli altri.
Se non fosse la morte, quasi non sarebbe poesia nella vita.
La morte non ha sempre le orecchie aperte ai voti e alle preghiere dei singoli eredi; e si ha il tempo di fare i denti lunghi, quando, per vivere, s'aspetta la morte di qualcuno.
Tutte le nostre conoscenze ci aiutano solo a morire di una morte un po' più dolorosa di quella degli animali che nulla sanno.
Il giorno che temiamo come ultimo è soltanto il nostro compleanno per l'eternità.