Quel che il pubblico ti rimprovera, coltivalo, è il tuo io.— Jean Cocteau
Quel che il pubblico ti rimprovera, coltivalo, è il tuo io.
Motivi potentissimi e quasi sempre segreti sono all'origine di mille particolari che compongono la bellezza brulicante dell'universo. Una singolarità può sembrarci gratuita, ma la sua forza espressiva nasconde sempre delle radici.
Il pubblico prima vuol capire, poi sentire.
Un capolavoro è una partita a scacchi vinta con scacco matto.
Dobbiamo credere nella fortuna. Altrimenti come potremmo spiegare il successo di chi non ci piace?
L'io è odioso.
Come il cavaliere, se non vuole essere disarcionato dal suo cavallo, è costretto spesso a ubbidirgli e a portarlo dove vuole, così anche l'Io ha l'abitudine di trasformare in azione la volontà dell'Es come se si trattasse della volontà propria.
Il piacere di essere gregge è più antico del piacere di essere io: e finché la buona coscienza si chiama gregge, solo la cattiva coscienza dice: io.
L'unico viaggio irrinunciabile è l'esplorazione dell'io.
Di tutte le parole di tutte le lingue che conosco, quella che ha la massima concentrazione è l'inglese "I".
L'io, ciò che non può mai divenire oggetto.
L'Io non è cosa o fatto, è soprattutto azione.
L'Io non va annullato, va piuttosto educato, purificato, talora severamente disciplinato, per raggiungere quella purezza verso cui è effettivamente predisposto.
Vorrei poter dimenticare che io son io.
In molti individui appare già come una sfrontatezza che abbiano il coraggio di pronunciare la parola "io".