Quel che il pubblico ti rimprovera, coltivalo, è il tuo io.— Jean Cocteau
Quel che il pubblico ti rimprovera, coltivalo, è il tuo io.
Dobbiamo credere nella fortuna. Altrimenti come potremmo spiegare il successo di chi non ci piace?
L'estetica dell'insuccesso è l'unica durevole. Chi non capisce l'insuccesso è perduto.
Il futuro non appartiene a nessuno. Non ci sono precursori, non ci sono altro che rimasugli.
Progetti per l'avvenire, studi, impieghi, trafile, non li preoccupavano più di quanto il far la guardia alle pecore possa tentare un cane di lusso.
Il più grande capolavoro letterario non è altro che un vocabolario in disordine.
Quale altro carcere è scuro come il nostro cuore! Quale carceriere così inesorabile come il nostro io!
Chi è io? Cos'è questo intervallo tra me e me?
L'Io non va annullato, va piuttosto educato, purificato, talora severamente disciplinato, per raggiungere quella purezza verso cui è effettivamente predisposto.
Io: un paesaggio che m'è venuto a noia.
Vorrei poter dimenticare che io son io.
Come il cavaliere, se non vuole essere disarcionato dal suo cavallo, è costretto spesso a ubbidirgli e a portarlo dove vuole, così anche l'Io ha l'abitudine di trasformare in azione la volontà dell'Es come se si trattasse della volontà propria.
Depreco egualmente il trionfalismo di Kant e in genere di quelle filosofie che, trovando necessario partire dall'io, inneggiano ad esso come se fosse una grande conquista e non invece la miserabile sorte che ci è toccata.
Ogni uomo forte raggiunge immancabilmente ciò che il suo vero io gli ordina di volere.
L'Io si arricchisce nel confronto con le diversità, ma senza venire cancellato o assorbito. Il dialogo, che unisce gli interlocutori, presuppone la loro distinzione e una piccola, ma insopprimibile e feconda distanza.
In molti individui appare già come una sfrontatezza che abbiano il coraggio di pronunciare la parola "io".