Irritarsi per una critica vuol dire riconoscere di averla meritata.
È molto difficile il sapersi moderare nella felicità della quale reputiamo non poter godere lungamente.
Noi magnifichiamo le cose antiche e poco ci curiamo delle presenti.
Conviene alle donne di piangere, ma agli uomini di ricordare.
È tanto più facile ricambiare l'offesa che il beneficio: perché la gratitudine pesa, mentre la vendetta reca profitto.
È vizio del malanimo umano sempre lodar le cose antiche e biasimare le presenti.
Forse il peso specifico di un critico è null'altro che il suo desiderio di verità.
La critica, come la intendo io, viene scritta nella speranza che le cose migliorino.
Gli insetti pungono non per cattiveria ma perché vogliono vivere anche loro; lo stesso è dei critici: vogliono il nostro sangue, non il nostro dolore.
Io ho dei critici una allegra vendetta. Ché le mie appassionate lettrici e amiche sono appunto le loro mogli, le loro sorelle.
È facile criticare giustamente; è difficile eseguire anche mediocremente.
Criticare è valutare, impadronirsi, prendere possesso intellettuale, insomma stabilire un rapporto con la cosa criticata e farla propria.
Credo che la critica si giochi in una dimensione solitaria, oggi più che in passato. Il critico ha bisogno di amici, non di complici come è accaduto con i giochi di squadra della stagione ermetica.
La critica innalza perché non vede l'ora di abbattere.
Accetto con gratitudine la più aspra critica, se soltanto rimane imparziale.
Spesso la critica non è scienza; è un mestiere, in cui occorre più salute che intelligenza, più fatica che capacità, più abitudine che genio.