I critici devono sapere di più, e scrivere di meno.
Le arti, comprese la poesia e la letteratura, dovrebbero essere insegnate dagli artisti che le praticano, non da sterili professori.
Nessun uomo ha mai saputo abbastanza delle parole. I più grandi maestri sono stati contenti di usarne alcune in modo giusto.
La bellezza è un breve sospiro tra un cliché e un altro.
I pacifisti che rifiutano di indagare le cause economiche della guerra fanno causa comune con i venditori d'armi.
Oggi il nome "democrazia" è rimasto alle usurocrazie, o alle daneistocrazie, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro.
La critica non ha strappato i fiori immaginari dalla catena perché l'uomo continui a trascinarla triste e spoglia, ma perché la getti via e colga il fiore vivo.
La critica è indulgente coi corvi e si accanisce con le colombe.
Non si può criticare ed essere diplomatici allo stesso tempo.
Il piacere della critica ci toglie quello di essere vivamente colpiti da cose bellissime.
Criticare è valutare, impadronirsi, prendere possesso intellettuale, insomma stabilire un rapporto con la cosa criticata e farla propria.
La critica innalza perché non vede l'ora di abbattere.
Accetto con gratitudine la più aspra critica, se soltanto rimane imparziale.
Quale è il vero critico se non colui che porta in sé i sogni e le idee e i sentimenti di miriadi di generazioni, e a cui nessuna forma di pensiero è estranea, nessun impulso di emozioni oscuro?
Spesso la critica non è scienza; è un mestiere, in cui occorre più salute che intelligenza, più fatica che capacità, più abitudine che genio.
Il critico dovrebbe, per poter dare un giudizio definitivo, rifare il corso del mondo sino all'opera d'arte da giudicare, in due parole, essere uguale a Dio.
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