Le sciocche e laide abitudini sono le corruzioni della nostra natura.
Sente assai poco la propria passione, o lieta o triste che sia, chi sa troppo minutamente descriverla.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, decoro e mente al bello italo regno, nelle adulate reggie ha sepoltura già vivo, e i stemmi unica laude.
L'uomo non si accorge quanto ei possa fare, se non quando tenta, medita e vuole.
Quaggiù la povertà è vergogna che nessun merito lava; è delitto non punito dalle leggi, ma perseguitato più crudelmente dal mondo.
È pur bella la tolleranza delle opinioni. L'alta e nobile intolleranza deve percuotere inflessibilmente le azioni.
Tutte le abitudini diventano una seconda natura, quando si tengono a lungo le finestre tappate si finisce per amare il puzzo più dell'aria fresca.
Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendo.
Noi siamo abituati a scendere a patti con la realtà per acquistare un ruolo. Svendiamo i nostri sensi per trovare un gesto. Rinunciamo alla capacità di sentire e in cambio otteniamo una maschera.
È grande la forza dell'abitudine.
Ci si rammarica della perdita delle peggiori abitudini, forse più di ogni altra cosa. Sono in effetti una parte così essenziale della nostra personalità.
L'abitudine è una grande sordina.
Non cambierò di certo le mie abitudini o i miei comportamenti per paura. Neppure se il senso comune e l'opinione pubblica li condannassero.
Anche l'abitudine contribuisce a far diventare vecchi; il processo mortale di fare la stessa cosa allo stesso modo alla stessa ora giorno dopo giorno, prima per trascuratezza, poi per inclinazione, e infine per codardia o inerzia.
L'abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte.
L'abitudine è mezza padrona del mondo. "Così faceva mio padre" è sempre una delle grandi forze che guidano il mondo.