A forza di credersi malato, lo si diventa.
Le stranezze delle persone simpatiche riescono esasperanti, ma non c'è persona simpatica che non sia per qualche verso strana.
Riceviamo dalla nostra famiglia così le idee di cui viviamo come la malattia di cui moriremo.
Come quelli che si mettono in viaggio per vedere con i loro occhi una città desiderata e immaginano si possa godere, in una realtà, le delizie della fantasia.
Le teorie e le scuole, come i microbi e i globuli, si divorano tra di loro e assicurano, con la loro lotta, la continuità della vita.
La malattia è la più grande imperfezione dell'uomo.
Malattia e solitudine sono affini. Alla minima malattia, l'uomo si sente ancora più solo di prima.
La maggior parte delle malattie traggono origine da un dispiacere.
L'ammalato ribelle fa il medico crudele.
Le malattie sono più intelligenti di noi, trovano la risposta dei nostri problemi prima della ragione.
È nella malattia che ci rendiamo conto che non viviamo soli, ma incatenati a un essere d'un altro regno, dal quale ci separano degli abissi, che non ci conosce e dal quale è impossibile farci comprendere: il nostro corpo.
Una malattia ne vale un'altra: i nomi fanno più paura della malattia. E le cure qualche volta sono peggio dei mali.
Quell'agente patogeno, mille volte più virulento di tutti i microbi, l'idea di essere malati.
Chi non sente il suo male è tanto più malato.
In qualunque malattia è buon segno se il malato serba lucidità e appetito, cattivo segno se gli accade il contrario.