Serve a qualcosa il paradiso? o la sua perfezione include l'inutilità?
Io amo le macchine imprecise, i computer che sbagliano, i semafori che s'incantano.
Ogni viaggio comincia con un vagheggiamento e si conclude con un invece.
Questo gioco arcaico, matematico, simbolico, non ha nulla dello sport: non produce campioni fatti di carne di manzo, non è cordiale, è silenzioso, maniacale, malsano, genera nevrotici protagonisti di un freddo sogno di simboli e tornei, di numeri e di re.
Nello psicoanalista c'è una strana mescolanza del fool e del prete, direi del vescovo e del ciarlatano.
Non c'è al mondo oggetto librario più fascinoso, seducente, innamorativo di una Enciclopedia.
C'è tanta gente malata ed esausta che, generalmente, il paradiso è concepito come un luogo di riposo.
È difficile scrivere un paradiso quando tutte le indicazioni superficiali indicano che si dovrebbe scrivere un'apocalisse. Risulta ovvio trovare abitanti per l'inferno o per il purgatorio.
Non c'è da dubitare del fatto che il paradiso offra soprattutto la compagnia di persone sgradite.
Il paradiso è sotto i nostri piedi e sopra le nostre teste.
Si dice che la creazione del Paradiso fosse la favola di un ignoto amore che a un certo punto sprigionò le ali dalla crosta terrestre, e così, raffreddandosi la terra, comparvero, al di là delle credenze bibliche, i primi voli degli angeli.
In paradiso un angelo non è niente di particolare.
Il paradiso è quaggiù, mentre respiriamo e viviamo. Dopo, si diventa un pugno di cenere e tutto è finito.
Certamente il paradiso è qualcosa di cui tutti abbiamo bisogno, però non dobbiamo immaginarcelo in modo antropomorfico.
Nella nostra cultura noi non riusciamo a pensare al paradiso, per il momento, se non come una variante particolarmente luminosa del nulla.